“Spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto attorno al quale l’intelletto si affanna inutilmente”

C.G.Jung

Filari di acacie bianche con foglie ovoidali di un verde tenero  delimitavano la siepe, fungevano da argine alla strada di ciottoli e vecchio catrame, insieme alla palizzata i cui pali erano annodati con il filo spinato. Una barriera frangivento al digradare dell’aranceto e degli ulivi. Lo  scroscio dell’acqua nelle canalette, la corrente che trascinava via rametti, foglie, petali e ranocchi; poveri loro, tentavano di aggrapparsi alle pareti, li rincorrevamo ma, inevitabilmente, si perdevano nel pozzetto. I fusti esili e lunghi delle acacie si rispecchiavano sull’altro lato della strada; incontravano la maestà imponente degli eucalipti allineati dalle fronde cariche di foglie lanceolate i cui rami sporgenti arrivavano ad ombreggiare i rovi, i ciuffi di canne, i cardi selvatici e sfuggenti ramarri. Il fusto squamato degli eucalipti, i fiori piccoli a raggiera giallastri, raccolti in mazzetti, gareggiavano con il bianco marmoreo delle acacie. I grappoli bianchi dei fiori di acacia rilasciavano un profumo intenso, dolciastro che si mischiava ai fiori degli eucalipti. Ho ancora negli occhi tutto quel bianco, quei rami frastagliati, punteggiati da vigorose spine e baccelli pendenti di quelle piante che avevano smesso la fioritura. Intrecciavo coroncine di fiori e su di un piccolo album tentavo di disegnare quegli strani fiori, con le spine a vela poste a saltello sul ramo nodoso. Raccoglievo scaglie della corteccia degli eucalipti  immaginando che fossero barchine dove far salire formiche in fila indiana. Api ronzanti sorvolavano quel perimetro di cielo impollinando ed inebriandosi di nettare. Due bambine esploravano quel mondo, giocavano e rincorrevano farfalle nelle loro girandole. Le farfalle si posavano sui piccoli fiori di rovi e sulle corolle violacee e spinose dei fiori dei cardi selvatici. Concentrate  e silenziose, trattenevamo il respiro per catturarle, sporgendo le dita, attente a non pungerci, non appena chiudevano le ali. Le farfalle volavano e noi immaginavamo di essere come loro: libere di roteare, nelle gonnine a salopette gialle, con il fiocco posato sulla schiena appena confezionate. Una madre versatile e creativa mentre spingeva con solo la punta del piede il pedale della macchina da cucire, cantava: ”….Nel cielo passano le nuvole che vanno verso il mare, sembrano fazzoletti bianchi che salutano, nel cielo passano le nuvole…parole, parole, parole, non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai… Firenze stanotte sei bella in un manto di stelle che in cielo risplendono tremule come fiammelle si specchia il firmamento  mentre un sospiro e un canto…. ”. Bimbe incantate, ascoltavamo e tiravamo i fili dell’imbastitura, battendo le mani e dicendo “ancora… ancora…”; con le mani sul mento, nostro padre compiaciuto rideva nell’osservare quel quadretto familiare!

Imbastire parole durante la quarantena

“Sfregavo foglie di eucalipto

contro il tronco

mentre mi perdevo in strani scarabocchi.

Occhieggiavo gli interminabili

filari di alberi,

una fila ondulata

 ed in fondo

 l’argine del fiume.

 Lo sguardo al cielo

tra il verde argento delle foglie,

nubi in fuga a

rincorrere stormi di uccelli.

L’incanto stretto in un pugno chiuso

e in quell’abitino a fiori

una corolla che sfiorava le ginocchia esili.”

06.07.2016

“Grappoli bianchi di fiori d’acacia

mossi dal vento leggero

scivolavano nell’aria e si posavano senza traiettoria.

Un velo bianco che imbiancava la strada

i miei capelli, le mie tasche

le mie narici.

Ad occhi chiusi

aspettavo la caduta.

Neve calda fuori stagione.”

10.04.2020

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